A chi non è mai capitato di immaginare? Può essere qualcosa di profondo e impegnativo come il proprio futuro, ma anche qualcosa di più banale come magari può essere un cioccolatino, una bella passeggiata e così via. Non ci sono limiti alle cose che si possono immaginare, ma tutte queste hanno una radice comune ben precisa: sono ricostruzioni che crea la mente, che va a ripescare un file d’origine dalla memoria, per poi modificarlo a seconda del desiderio del momento, generando emozioni.
Ecco perché immaginare qualcosa di noto o poco noto, qualcosa che non è mai stato vissuto nelle propria vita, è in generale più complicato. È questo lo sforzo più impegnativo nel processo dell’immaginazione: riuscire a vedere qualcosa di apparentemente inimmaginabile.
Si tratta di un fattore determinante soprattutto quando c’è un obiettivo da raggiungere. Già, perché l’immaginazione non è altro che la fase preliminare della visualizzazione, la fase statica interiore di quello che poi si dovrà trasformare in dinamica, con effetti tangibili, più o meno vicini alla rappresentazione iniziale elaborata dalla mente. Una volta che riesco a immaginare un obiettivo, attraverso un’esperienza sensoriale nella quale vado a ripescare delle immagini dalla memoria per poi riformularle, successivamente, attraverso la visualizzazione guidata, posso dare forma a quella stessa immagine, facendo in modo di trasformarla in realtà.
Il processo di visualizzazione, infatti, non è altro che lo sviluppo dell’immaginazione, che è quindi parte integrante della stessa. L’immaginazione è ciò che pone le basi per scavare nuovi solchi neurali, quella che traccia il punto di partenza per iniziare il percorso verso il raggiungimento del tuo obiettivo. Ed è una tecnica che utilizzo molto spesso nei miei coaching e che piace sempre molto anche gli stessi atleti, manager, gruppi di lavoro o chiunque altro la metta effettivamente in pratica.
Ad esempio, anche nella finale di Coppa Italia 2013 tra Lazio e Roma ho lavorato molto sull’immaginazione per generare emozioni e, a prescindere dal risultato finale positivo di quella circostanza, un’enorme gratificazione l’ho avuta successivamente, grazie ad Anderson Hernanes, il “Profeta”. Lui è sempre stato uno dei più ricettivi durante i miei interventi, tant’è che la nostra collaborazione è proseguita anche successivamente, al di là della Lazio. Talmente al di là, che Hernanes ha messo in pratica certe tecniche utilizzate nella preparazione di quella finale, anche nel successivo ritiro del Brasile durante la Confederation Cup del 2013.
Per la precisione, Hernanes ha parlato con il suo capitano, Thiago Silva, per chiedergli cosa ne pensasse di consegnare a ogni componente del gruppo della Seleçao una serie di immagini raffiguranti la Coppa, con sopra alcune scritte di questo tipo: “Immaginate dove sarete, potete farlo”. E dopo gli ha detto: “Dobbiamo immaginare questa Coppa e poi visualizzarla come se l’avessimo già vinta”. Esattamente quello che facemmo in quel ritiro di Norcia, prima della finale di Coppa Italia. Thiago Silva ne è stato subito entusiasta, come dichiarato pubblicamente: “Dopo aver ricevuto questa foto di Hernanes, ho iniziato a pensare a quanto sarebbe stato bello alzare la Coppa”.
Ecco, l’obiettivo era stato raggiunto, perché Hernanes, attraverso l’immaginazione, era riuscito a generare emozioni nei suoi compagni di squadra. E poi, “piccolo” dettaglio, il Brasile è riuscito anche a vincere quella Coppa in finale contro la Spagna. L’immaginazione ti crea la strada, il percorso neurale che si trasforma in strategia operativa e in azioni pratiche da fare tutti i giorni per raggiungere l’obiettivo che hai immaginato. Se prima non immagini, rischi di andare avanti alla cieca e questo non può far altro che generare confusione. L’immaginazione è un processo di facilitazione per raggiungere l’obiettivo: più lo immagini, più aumentano le emozioni. E più crescono di intensità le emozioni, più saranno le motivazioni per riuscire a ottenerlo.