La resilienza come filosofia di vita.

Quando ho deciso di entrare in banca e lasciare Partner Time, dove ero stato responsabile Italia, dovevo iniziare una nuova avventura. Anche se ero sempre nella stessa azienda, occorreva ripartire da zero, con una formazione diversa, titoli diversi e un’abilitazione da conseguire con relativa iscrizione all’albo nazionale. Vedendo il tipo d’esame a cui sarei andato incontro e soprattutto al tipo di commissione d’esame che mi avrebbe giudicato, lì per lì ho avuto un attimo di tentennamento molto forte. Ricordo il momento in cui ho visto il testo di studio sul quale dovevo prepararmi: circa mille pagine, con migliaia di nozioni, articoli, leggi e normative che regolano il mercato finanziario. In quel momento mi sono sentito sprofondare: per uno come me, che ha sempre fatto della creatività e della motivazione i suoi punti di forza, i tecnicismi vari a quel tempo erano una vasta area di miglioramento. Lo ammetto, ho pensato di mollare tutto e chiudere definitivamente con la banca: ma ho capito subito che l’abbandono era un qualcosa che non mi apparteneva, che non rispecchiava la mia persona. Ho sempre preferito lasciare qualcosa solo dopo aver vinto la sfida. E in quel momento, l’ingresso in banca era diventato una nuova sfida da vincere.

Così ho iniziato a lavorare per tirare di nuovo in alto il mio morale, per riappropriarmi di un atteggiamento mentale vincente. Certo, ero letteralmente terrorizzato dal fatto di essere giudicato da una commissione di docenti universitari, mi sembrava di essere tornato a scuola. Ma la voglia di superare quell’ostacolo era tanta, quindi ho iniziato a mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato nel corso degli anni, quello che avevo applicato riguardo la capacità di reagire dopo una sconfitta, trasformandola in un’opportunità di crescita: l’arte della resilienza, che consiste proprio nella “capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi”. Così ho iniziato a trasformare quel problema in un’opportunità e facendo leva su questa mia capacità, che mi ha contraddistinto nel corso degli anni e mi ha permesso di superare decine di sfide anche più importanti di questa, ho iniziato a razionalizzare la situazione. Questa è la base che permette di essere resilienti nella vita: usare la riflessione e la ragione per poi andare in azione.

Ho iniziato a creare un mio personale programma operativo, la strategia e le azioni che avrei messo in pratica per superare quella sfida.

Prima di tutto iniziando ad accettare il fatto che dovessi essere giudicato da una commissione universitaria. Ho cominciato a ragionare su cosa ci fosse di positivo nascosto dietro. Mi sono domandato: “Se la commissione mi darà l’idoneità, come mi sentirò?”. E allora ho cominciato a immaginare dentro di me i momenti in cui avrei realmente raggiunto l’obiettivo. Già assaporavo la gioia di aver superato l’esame, mi ero proiettato a quel momento come se lo stessi vivendo. E più alta era la difficoltà rappresentata dalla criticità della commissione e delle relative domande che potevano farmi, maggiore sarebbe stata la gioia. Quindi cosa facevo? Pensavo al problema, ma allo stesso tempo lo vedevo anche dopo averlo superato, vincendo la sfida.

Il secondo passo è stato quello di strutturare un time-management. Ho analizzato quanto tempo avrei avuto per preparare l’esame, di conseguenza quante pagine avrei dovuto studiare ogni giorno, quante ore destinare allo studio e cos’altro potevo fare durante quelle giornate. Ho analizzato anche i probabili ostacoli che si sarebbero potuti presentare, come ad esempio la possibilità di perdere la pazienza, buttarmi giù, demoralizzarmi e rimandare, disperdendo così l’attenzione e il focus. E cosa ho fatto per superare questo ostacolo? Ho fatto in modo di non essere solo e ho creato intorno a me un team di lavoro, con il quale abbiamo stabilito delle regole di comportamento, con l’obiettivo comune di superare l’esame.

La tabella di marcia comprendeva: inizio dello studio alle 9 del mattino, fine alle 21 di sera. E doveva esserci massima puntualità da parte di tutti.

Addirittura, a livello preventivo, avevo fatto firmare un foglio sull’impegno: chi avesse sgarrato una volta, se ne sarebbe andato a casa, perché si sarebbe trattato di una forte mancanza di rispetto verso tutti gli altri. Nessuno ha mai saltato un giorno di studio. Ma non mi bastava e mi ero creato anche un personale ruolino di marcia che andava oltre questi orari: mi svegliavo alle 5.30, facevo o cyclette o tapis-roulant, poi iniziavo a leggere e ripassare quanto fatto il giorno prima e anticiparmi qualcosa di ciò che avremmo fatto nel corso della giornata. Leggevo e mi registravo mentre facevo domande e risposte. Poi facevo colazione e iniziavo a lavorare con i ragazzi. Dopo le 21, poi, cenavo e scappavo in palestra. Una volta rientrato a casa ricominciavo a studiare fino all’una, prima di andare a letto. Questa cosa è andata avanti per 4 mesi, mi sentivo il “Rocky Balboa” dello studio in quei momenti. Ho creato anche il giusto ambiente intorno a me, circondandomi di persone che hanno fatto di tutto per non ostacolarmi nei miei programmi e che mi hanno dato totale supporto e aiuto.

Tutto questo fino ad arrivare al fatidico giorno, quello dell’esame. La convocazione era alle 8, nella Camera di Commercio. Fino alle 2 di notte del giorno prima ero rimasto sui libri, alle 5.30 mi ero alzato come sempre e dopo aver dato un’altra ripassata generale sono andato. Sottolineo che prima avevo anche studiato il profilo psicologico del presidente della commissione, quali fossero le sue domande più ricorrenti, di cosa fosse appassionato e così via. Ad esempio avevo scoperto da informazioni raccolte qua e là, che amava i vini di qualità, in particolare il Sagrantino di Montefalco. E che la sua specializzazione erano le “commodities”, in particolare i “futures”, cioè i contratti a termine standardizzati per poter essere negoziati facilmente in una borsa valori. Lui in media bocciava l’87% dei candidati, era considerato da tutti come la “bestia nera” della commissione, immaginate la situazione e la tensione che poteva esserci in quei momenti.

Non mostrai un minimo di preoccupazione, ero sicuro di me, di quello che avevo fatto. Ho iniziato a mettere in mostra la mia arte della comunicazione. Quando è arrivato il mio turno mi sono portato di fronte alla commissione con l’obiettivo di attirare la loro attenzione, rimanendo in piedi in attesa che i professori, mentre parlottavano tra di loro, si accorgessero di me e mi invitassero a sedermi. Solo quando il presidente mi ha fatto cenno di accomodarmi, l’ho ringraziato e mi sono seduto.

Stavo curando i minimi dettagli e, proprio come avevo immaginato, la prima domanda è stata sui “futures”. In genere l’esame si strutturava in 3 domande, a me invece – lo ricordo ancora nitidamente – me ne furono fatte 13.

Ad alcune di queste non sapevo rispondere, lo ammetto, ma sono riuscito comunque a fare in modo di farmi rispondere dallo stesso professore che me le aveva poste con delle contro-domande. Dopo il tredicesimo quesito, mi hanno detto: “Ok, grazie. Si accomodi pure”.

Dopo neanche 30 secondi vengono richiamato e mi viene consegnato il documento con le parole magiche: “Idoneo e abilitato alla professione”. Ho esultato come se avessi segnato un gol decisivo al 90’, mi sembrava di volare. In quel momento potevo toccare il cielo come un dito e sono riuscito ad arrivare a quel risultato solo grazie al non mollare mai, la cura dei dettagli, l’aver immaginato ancora prima che si realizzasse quel momento di estrema gratificazione.

Successivamente sono diventato persino amico del docente-presidente di commissione che mi ha fatto le 13 domande. Un giorno a pranzo gli chiesi:”perché anziché le solite 3 domande a me ne sono state fatte 13?”
E lui mi rispose:”Perché ho visto che eri bravo e noi docenti quando vediamo una persona così brava e preparata godiamo nel fare domande.
Ecco cosa vuol dire resilienza, vuol dire trasformare una difficoltà in un’opportunità.

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